#109: Nastasja Filippovna
- Dov'è... Nastasja Filippovna? - domandò il principe con voce soffocata.
- E'... qui, - rispose Rogozin senza fretta, dopo aver fatto aspettare un momento il principe.
- Ma dove?
Rogozin alzò gli occhi sul principe e lo fissò con uno sguardo strano.
-Andiamo!
- E'... qui, - rispose Rogozin senza fretta, dopo aver fatto aspettare un momento il principe.
- Ma dove?
Rogozin alzò gli occhi sul principe e lo fissò con uno sguardo strano.
-Andiamo!
Egli continuava a parlare piano e senza fretta, e, come prima, sembrava immerso in una profonda perplessità. Anche quando aveva parlato delle tendine, nonostante l'espansività del suo racconto, sembrava che con le stesse parole volesse esprimere un pensiero diverso.
Entrarono nello studio, dove, dal giorno che il principe c'era entrato per la prima volta, erano stati apportati alcuni cambiamenti: il locale, in tutta la sua larghezza, era diviso in due da una tenda pesante, di seta verde, con un'entrata da ogni lato, dietro alla quale era una specie di alcova, dove era il letto di Rogozin. La pesante tenda era abbassata e le due entrate chiuse. Nella camera regnava un buio quasi assoluto. Le notti bianche di Pietroburgo cominciavano a oscurarsi e, non ci fosse stata la luna piena, sarebbe stato difficile scorgere alcunchè nelle tenebre. Veramente, si potevano ancora distinguere i visi degli uomini, ma vagamente. Il volto di Rogozin era pallido come al solito, i suoi occhi ardenti e scintillanti erano fissi sul principe e il loro sguardo era immobile.
- Faresti bene ad accendere una candela
- No, non occorre, -rispose Rogozin, e premendo il braccio del principe, lo costrinse a sedere. Poi gli si sedette di fronte, avvicinando a lui la propria sedia, in modo da toccarlo con le ginocchia. In mezzo a loro, un pò di fianco, si trovava un tavolinetto rotondo.
- Siediti, rimaniamo un pò seduti, per intanto -disse egli in tono persuasivo.
Ci fu un minuto di silenzio. Poi Rogozin continuò, col tono che si assume quando, per non affrontare a tutta prima l'argomento principale, s'intavola un discorso su particolari oziosi:
- Sapevo che avresti preso una camera nello stesso albergo d'una volta; non appena entrato nel corridoio, pensai subito: "Può darsi che anche lui, in questo momento, sia seduto qui, in qualche camera ad aspettarmi, come l'aspetto io adesso!" Sei stato dalla maestra?
- Ci sono stato, -pronunciò con sforzo il principe, cui il cuore batteva da rompersi,
- Anche a questo avevo pensato. "Quante chiacchere ci faranno," pensai... poi pensai ancora di condurti qui per poter passare la notte insieme...
- Rogozin! Dov'è Nastasja Filippovna? -bisbigliò il principe, e si alzò tremando a membro a membro. Si alzò anche Rogozin.
- E' là, -sussurrò egli, mostrando con un cenno del capo la tenda.
- Dorme? -sussurrò anche il principe.
Rogozin lo fissò ancora con lo stesso sguardo di prima.
- Bè! andiamoci!... Soltanto, tu... insomma, andiamoci!
Egli sollevò la tenda, si fermò e voltò di nuovo la testa verso il principe.
- Entra! -disse, invitando il principe a passare per primo. Il principe entrò.
- E' buio! -fece.
- Si vede abbastanza! -brontolò Rogozin.
- Vedo vagamente... il letto.
- Avvicinati, -rispose Rogozin, piano, invitandolo ad avanzare.
Il principe fece un passo, poi un altro, e si fermò ancora. Egli rimase così un minuto o due a guardare attentamente; né l'uno né l'altro, per tutto il tempo che rimasero vicino al letto, pronunciarono parola; il cuore del principe martellava a tal segno, che i suoi battiti sembravano risuonare nel prondo silenzio della camera. Ma i suoi occhi si erano abituati all'oscurità, e ormai egli vedeva distintamente tutto il letto; qualcuno vi dormiva d'un sonno di piombo; non si sentiva il minimo respiro né alcun fruscio. Il dormiente era coperto fino alla testa da un bianco lenzuolo, ma le forme del suo corpo vi si disegnavan sotto in modo poco distinto; si poteva giudicare soltanto dal rilievo che un essere umano vi era sdraiato in tutta la sua lunghezza. Intorno sul letto stesso e sulla poltrona accanto, persino sul pavimento, erano gettati in disordine vestiti da donna, un fastoso abito di seta bianca, nastri, fiori. Sul comodino scintillavano i brillanti sparsi, pure in disordine. Presso i piedi, si notavano pizzi sgualciti e aggomitolati, e su quei pizzi bianchi, sporgendo di sotto al lenzuolo, si disegnava la punta di un piede nudo; sembrava fatto di marmo ed era terribilmente immobile. Il principe guardava ogni particolare e sentiva che più guardava, più il silenzio nella camera diventava assoluto e pari al silenzio della morte. Improvvisamente si sentì il ronzio di una mosca svegliata che volò sopra il letto e scomparve dalla parte del capezzale. Il principe trasalì.
- Usciamo! -disse Rogozin, toccandogli il braccio.
Uscirono dall'alcova e tornarono a sedere come prima, uno di fronte all'altro. Il principe tremava sempre più, e continuava a fissare Rogozin con fare interrogativo.
- Mi accorgo che tremi, Lev Nikolajevic, -disse infine Rogozin -come ti capita sempre prima che ti colga uno di quei tuoi attacchi... Ti ricordi, a Mosca... e poi anche qui, una volta. Non saprei ora che cosa dovrei fare di te...
Il principe l'ascoltava, facendo immensi sforzi per comprendere ciò che l'altro gli diceva, e continuando a interrogarlo con lo sguardo.
- Sei stato tu? -domandò infine, indicando la tenda con un cenno della testa.
- Si... sono stato io... -sussurrò Rogozin abbassando il capo.
Seguì un silenzio che durò cinque buoni minuti.
-29 giorni alla laura di Michele
Efnisorð: Dostoevskij
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